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2021

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Come redigere il bilancio sociale d’impresa

L’Ing. Valeria Carozzi, Esperta dell’Assistenza Specialistica Ambiente ed Economia Circolare della Camera di commercio,  ci parla della redazione del Bilancio Sociale di impresa, concepito come uno strumento per comunicare efficacemente all’esterno.

Perché parlare di Corporate Social responsibility (CSR) ed Environmental Social and corporate Governance (ESG)?

Perché in un mondo dove 9 cittadini su 10 sperano di vivere in un mondo più sostenibile, e l’attenzione del mercato e dei clienti è sempre più focalizzata su temi etici e di impegno sociale, una società che guarda al futuro non può fare a meno di prendere in considerazione anche questi elementi per il suo successo.

Di cosa stiamo parlando?

Nel pensiero dei fautori della CSR, l’impresa, accanto all’obiettivo di realizzare i suoi fatturati ed al dovere morale di rispettare norme e leggi, ha la necessità di rispettare clienti e fornitori e deve impegnarsi a restituire alla società il valore che si ricava con il proprio business.

Da questo concetto si è poi sviluppato un più ampio sistema di valori che abbraccia anche il clima lavorativo, la parità di genere, il rispetto della diversità, l’impegno nella tutela ambientale e nel garantire ricadute positive sulle comunità locali.

La parte migliore di questo approccio è che ogni azienda è libera di intraprendere le proprie iniziative. L’unico vincolo è dato dalla raccolta dati necessaria a dare visibilità a queste iniziative, che deve essere oggettiva e riscontrabile (e per questo si ricorre a degli standard internazionali). E proprio questa libertà permette di mettere in pista progetti utili, con ricadute reali e spesso particolarmente innovativi

Per quali realtà è pensata la CSR?

Come spesso accade si sono attivate per prime le grosse aziende, spesso multinazionali, che hanno capito che servire bene i clienti, prendersi cura dei dipendenti, rispettare i fornitori e impegnarsi per migliorare le condizioni sociali e ambientali sulle quali si può effettivamente intervenire sono diventati un elemento integrante le politiche ormai obsolete del mero profitto.

Ma la particolarità che rende unica  e interessante l’applicazione della CSR è che non ci sono limiti dimensionali o impegni economici minimi che possono renderla più o meno interessante.

Per quanto la normativa al momento, con la legge 254/2016, imponga alle sole aziende quotate in borsa l’obbligo di rendicontare nel bilancio anche informazioni rientranti nell’ambito della CSR, qualsiasi azienda nell’ambito della sua sfera di influenza ha la possibilità di apportare i suoi miglioramenti e di comunicarli e condividerli con il mercato e con i suoi interlocutori (siano essi dipendenti, fornitori, comunità locali, ecc).

Un potente strumento di Marketing

Le ricadute di immagine e le potenzialità comunicative abbinate all’impegno nell’ambito della CSR son molteplici, soprattutto ai giorni d’oggi nei quali una impresa è sempre sotto i riflettori dei suoi follower sui social.

Infatti un altro elemento che caratterizza la CSR e che, a mio modesto parere, con l’avvento dei social può avere un effetto esplosivo se gestito bene, è il coinvolgimento degli stakeholder nelle proprie iniziative. Un presupposto che è spesso preteso dagli stessi standard di riferimento.

Penso quindi che la combinazione di iniziative sostenibili con il coinvolgimento del proprio pubblico possa avere infiniti risvolti positivi per il marketing aziendale. L’unico limite resta la fantasia e la disponibilità di risorse.

Il tutto facendo attenzione a non scadere nel social washing o nel green washing. Bisogna ricordarsi che i nostri interlocutori sono spesso molto ben informati e vogliono riscontri oggettivi su cui basare le loro scelte.

Per saperne di più

SPECIALE PNRR. La MISSIONE 2 “RIVOLUZIONE VERDE E TRANSIZIONE ECOLOGICA” e gli incentivi green per il settore tessile

Fabiana Panella, ingegnere specializzato in innovazione di prodotti, chimica applicata e pianificazione dei processi produttivi, approfondirà – con taglio pratico ed operativo – le modalità e i termini di presentazione delle proposte previste nell’Avviso M2C1.1 I1.2 Linea D

Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) nella sezione dedicata all’economia circolare punta anche al recupero del tessile. Per raggiungere questo obiettivo, il Piano si propone di potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento/riciclo tramite “Textile Hubs”.

Cosa definisce la Missione 2 del PNRR?

La Missione 2 del PNRR ha lo scopo di favorire la transizione ecologica e lo sviluppo ambientale sostenibile nel nostro Paese, superando limiti che si sono rivelati critici in passato. Prevede, quindi, investimenti che mirano a promuovere l’economia circolare attraverso “progetti faro” in materia di raccolta differenziata dei rifiuti elettronici, plastici e tessili.

In particolare la Linea di intervento D definisce gli incentivi per l’“Infrastrutturazione della raccolta delle frazioni di tessili pre-consumo e post-consumo, ammodernamento dell’impiantistica e realizzazione di nuovi impianti di riciclo delle frazioni tessili in ottica sistemica c.d. Textile Hubs”.

Quali sono le opportunità per le PMI?

La Missione 2 (M2) è l’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con più risorse economiche. Ma quali sono le opportunità che le PMI dovranno cogliere?

Fino a oggi, la transizione si è concentrata in particolare su alcuni settori. Ed è avanzata a rilento per via delle difficoltà burocratiche e autorizzative. Il PNRR rappresenta un’opportunità per accelerare questo cambiamento ecologico, puntando alla gestione efficiente, efficace e sostenibile dei rifiuti e al rafforzamento delle infrastrutture per la raccolta differenziata, migliorando le prestazioni ambientali e la competitività delle aziende.

Su quali elementi puntare l’attenzione?

La Missione 2 è in qualche modo attraversata trasversalmente da un principio innovativo, sia di gestione sia di nuovi strumenti da impiegare per raggiungere la transizione ecologica. In particolare per la C1, la Linea d’intervento D intende incentivare l’infrastrutturazione della raccolta delle frazioni di tessili pre-consumo e post consumo, l’ammodernamento dell’impiantistica e la realizzazione di nuovi impianti di riciclo delle frazioni tessili in ottica sistemica (“Textile Hubs”).

I criteri di selezione premieranno i risultati attesi delle proposte. Soprattutto in termini di quantità di materia riciclata, di livello di innovazione tecnologica e capacità di creare network tra imprese o “distretti circolari”.

Programma:

  • I Bandi del PNRR per l’Economia Circolare: regole e requisiti dei beneficiari
  • Gli incentivi alla Transizione Verde nel settore tessile
  • Cosa viene finanziato?
  • Criteri di valutazione delle proposte

Circular economy e valorizzazione dei residui produttivi

All’interno del servizio di Assistenza Specialistica in ambito Ambiente ed Economia circolare, messo a disposizione gratuitamente alle imprese di Milano Monza Brianza Lodi dalla Camera di commercio, l’avvocato Alessandro Kiniger partner dello Studio B&P Avvocati e specializzato in diritto dell’ambiente, approfondirà – con taglio pratico ed operativo – le modalità di gestione aziendale dei residui produttivi, nel contesto dell’“economia circolare”.

Qual è l’obiettivo del webinar?

Nel corso del webinar si cercherà di fornire una sintesi, non solo da un punto di vista giuridico ma anche operativo, della disciplina relativa alla gestione e valorizzazione dei residui produttivi, approfondendo i concetti di rifiuto, sottoprodotti ed end of waste, anche alla luce delle recenti novità normativo e regolamentari correlate alla circular economy ed al PNRR.

Prodotti, sottoprodotti, rifiuti ed end of waste sono la stessa cosa?

Tutte le realtà imprenditoriali, a prescindere dalle dimensioni e dall’attività esercitata, producono residui produttivi. E la disciplina vigente consente la loro gestione come rifiuti per avere end of waste o, a determinate condizioni, come sottoprodotti o materiali esclusi. Si tratta di istituti giuridici e discipline molto diverse tra loro.

E la corretta qualificazione del residuo è centrale nello sviluppo della circular economy e nella realizzazione della prevenzione nella produzione di rifiuto. Ha poi riflessi rilevanti anche in tema di responsabilità e costo di gestione.

Vuoi saperne di più?
Martedì 25 gennaio c’è il webinar dedicato.

Gli argomenti trattati:

  • la circular economy
  • definizioni fondamentali
  • la gerarchia nella gestione dei rifiuti
  • i sottoprodotti
  • i materiali esclusi (art. 185)
  • l’end of waste

Strumenti, metodi e strategie per una neutralità emissiva al 2050 nelle aziende.

Il concetto di sviluppo sostenibile fu definito 1987 nel rapporto Our Common Future come quello sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri. È un tema relativamente recente in quanto recente è l’esigenza di trovare un’armonia ambientale, sociale ed economica nelle nostre attività quotidiane.

Mercoledì 19 gennaio 2022 l’Ing. Renato Ornaghi, partner fondatore e CEO di Energy Saving SPA, durante il webinar organizzato dalla Camera di commercio Milano Monza Brianza e Lodi, approfondirà il tema della sostenibilità ambientale e in particolare le tecniche necessarie alla quantificazione dell’impronta carboniosa (Carbon Footprint) di una azienda, gli aspetti contrattuali e gli strumenti di mercato atti a conseguire l’azzeramento/compensazione delle proprie emissioni di gas serra.

Quanto è diventata importante la sostenibilità per le imprese?

Sicuramente è diventata uno degli elementi di massima competitività sul mercato . E questo negli ultimi anni non solo per le grandi imprese, che magari istituzionalmente fanno sostenibilità da anni e da diversi esercizi redigono il bilancio di sostenibilità, ma anche per le piccole e medie. Non è infrequente per noi trovare aziende anche piccole che ci chiedono di supportarle perché un loro cliente importante pone la sostenibilità come prerequisito per essere accreditati come partner fornitori affidabili di lungo periodo. È un tema ormai imprescindibile, che va al cuore delle strategie future di ogni organizzazione imprenditoriale.

Quali sono gli strumenti per raggiungere la neutralità emissiva?

L’efficienza energetica è sicuramente uno strumento fondamentale.

Alle aziende che ci chiedono un supporto noi suggeriamo innanzitutto di redigere una diagnosi energetica, per comprendere dove si annidino nei loro consumi energetici le maggiori opportunità di risparmio.

Fare efficienza, consumare l’energia al meglio, è la prima opzione da praticare. Poi a seguire gestire gli acquisti energetici con ottica di sostenibilità, se non addirittura autoprodursi energia da fonte rinnovabile è un’opzione da prendere seriamente in considerazione per ridurre la propria impronta carboniosa innanzitutto, ma visti i prezzi dell’energia attuali anche per calmierare un costo energetico che sta diventando alla lunga non sostenibile.

Perché certificarsi ZERO EMISSION COMPANY?

La nostra certificazione Zero Emission è il suggello, il cappello finale alle attività di efficienza e di sostenibilità messe in campo. Serve innanzitutto a fare in modo che l’azienda passi un messaggio di coerenza con gli obiettivi di sostenibilità che si è prefissata.

Fatte le azioni di sostenibilità, è opportuno informare tutti gli stakeholders: i clienti, i dipendenti, i fornitori, la comunità in cui si lavora. La certificazione Zero Emission è lo strumento ideale per passare un messaggio coerente di attenzione alla sostenibilità. E per valorizzare al massimo le azioni verso l’ambiente che l’azienda ha intrapreso.

 Programma:

  • I Gas a Effetto Serra e gli impatti climatici
  • Il Deal “fit-for-55” dell’Unione Europea e la totale neutralità emissiva al 2050
  • L’evoluzione della normativa e degli impegni internazionali dopo Glasgow 2021
  • Il calcolo dell’Impronta carboniosa di un’organizzazione – la Norma ISO 14064
  • Il GHG protocol e le tipologie di Gas Serra emessi: Scope 1 – Scope 2 – Scope 3
  • L’acquisto di energia elettrica, gas naturale e combustibili da fonte rinnovabile
  • Il risparmio energetico e il suo impatto nell’impronta carboniosa di una azienda
  • L’incremento dei prezzi energetici e l’opportunità dell’autoproduzione rinnovabile
  • L’azzeramento/compensazione delle emissioni con strumenti di mercato: CER-VER-EUA;
  • Come conseguire la certificazione “Zero Emission Company”

Ritorno al Futuro | L’intervento di Paolo Iabichino a L’Età Ibrida

Abbiamo iniziato questa rassegna su un filo teso, in bilico tra due mondi.

Ci siamo avventurati alla ricerca dei fossili de L’Età Ibrida quando ancora non sapevamo definire i confini di questa nuova era. Ci sentivamo alla vigilia di una trasformazione. Alle porte di un processo di cambiamento che avrebbe rivoluzionato il nostro modo di pensare, le nostre vite, i nostri lavori. Lì dentro, abbiamo scovato un miscuglio eterogeneo di punti di vista, nuove competenze, pessime abitudini e metodi di lavoro da ridisegnare.

Complice la pandemia, oggi ci ritroviamo in un mondo completamente trasformato. La vita umana si confronta con strumenti tecnologici sempre più sofisticati ma non sempre nostri alleati. In un certo senso siamo nel Secondo Tempo dell’età ibrida. Un tempo in cui non c’è più spazio per i dogmi, un momento che esige riflessione, interpretazione e ascolto.

È così che abbiamo fatto anche a L’Età Ibrida.

Abbiamo dedicato ogni incontro a una parola, perché per descrivere questo tempo ci vogliono parole nuove, ma anche nuovi significati da attribuire a parole antichissime. Attraversandole, ci siamo sentiti proprio come il nostro funambolo, in bilico certo, ma senza la paura di cadere. Per questo durante il penultimo incontro della stagione Paolo Iabichino, l’ideatore de L’Età Ibrida, ha ripercorso tutte le parole che abbiamo analizzato. Per vedere quanta strada abbiamo fatto e quanta ancora ne rimane da percorrere.

Pronti per questo viale dei ricordi?

 

#phygital

L’abbiamo già detto. La vita ibrida se ne sta in bilico tra due mondi. Tra due realtà parenti ma complementari che si incontrano per creare qualcosa di nuovo, una sorta di mutazione. Perché phygital non indica soltanto la spinta alla colonizzazione del mondo digitale. Ma anche la creazione di porti sicuri nell’aldilà che ci garantiscano esperienze appaganti nell’aldiqua.

Come scrive Nicolò Andreula nel suo libro #Phygital — Il nuovo marketing tra fisico e digitale: “Phygital è un concetto in divenire che non si focalizza tanto su cosa fare, quanto su come fare le cose a cavallo tra due dimensioni”.

 

#contaminati

L’età ibrida ci ha portato a vivere esistenze aumentate, profondamente intrecciate a strumenti digitali e in dialogo costante con algoritmi spesso poco trasparenti. Filosoficamente, ci sono ancora molti temi che come società non abbiamo affrontato: il diritto alla privacy e il diritto all’oblio per esempio, ma anche problemi sociali come il cyberbullismo e la propaganda, i limiti della libertà di espressione e la manipolazione. L’inquinamento del nostro habitat phygital è fuori controllo e in questo la tecnologia non ci può proprio aiutare. Per capire come affrontare queste sfide servono soltanto gli esseri umani, per costruire l’età ibrida servono i contaminati.

“La contaminazione non è più una possibilità, è un’urgenza”: così scrive Giulio Xhaët nel suo #Contaminati – Connessioni tra discipline, saperi e culture. Nei suoi anni da formatore sulle nuove professioni digitali, Xhaët si è accorto di come siano le stesse aziende a richiedere, sempre di più, candidati ibridi. Il motivo è semplice. Un contaminato conosce la diversità e riesce ad accedere a diversi mindset a seconda del problema da risolvere, è più elastico e poliedrico. Non c’è algoritmo in grado di realizzare queste connessioni, in grado di cambiare il mondo. Non c’è algoritmo più potente dell’algoritmo umano.

 

#linguaggi

“Una lingua ci rimane addosso come gli anelli di accrescimento sul tronco di un albero”, ci ha raccontato la linguista Vera Gheno nel suo intervento a L’Età Ibrida. “Un esperto vi può leggere un periodo di siccità o magari delle piogge intense, ma anche il passaggio di parassiti o persino un’esplosione nucleare, come accade nei dintorni di Chernobyl”. Nella lingua succede più o meno lo stesso. Le tracce di quel che ci accade, come individui e come società, rimangono impigliate tra le maglie della lingua, che cresce, respira, si trasforma insieme agli stessi individui che la tengono in vita.

Nell’era della comunicazione non è più possibile non sapere usare bene le parole. Perché sono proprio le parole a costruire — come tanti piccoli mattoncini — questo nuovo habitat in cui viviamo.

 

#empatia

Una vita ibrida comporta parecchi rischi. Vivere attraverso lo schermo di uno smartphone o di un computer vuol dire costruirsi un avatar nell’aldilà che sia abbastanza simile a quello dell’aldiqua, ma non proprio. La nostra vita digitale sembra specchiarsi in un’immagine deformata, in una realtà distorta e amplificata. A volte, la distanza che sentiamo tra queste due immagini di noi stessi ci fa persino dimenticare chi siamo. Ci fa dimenticare che dietro qualsiasi schermo c’è un altro e non soltanto un avatar. A volte, dimentichiamo che il digitale è soltanto un modo per metterci in contatto con altre persone, con altre vite, spesso molto lontane dalle nostre.

Per questo, dobbiamo sforzarci di tenere sempre in allenamento un muscolo fondamentale della nostra personalità: l’empatia. Provare a mettersi sempre nei panni degli altri, letteralmente sentire quel che gli altri sentono in una situazione particolarmente difficile, ci fa sentire più vicini soprattutto oggi che, invece, dobbiamo per forza rimanere lontani.

“Empatia non significa entrare a far parte delle circostanza dei protagonisti, ma permettere alle emozioni create dalle circostanze di entrare in contatto con noi”, scrive la giornalista Assunta Corbo nel suo Empatia digitale. Una capacità da allenare anche nella narrazione: “L’obiettivo è cogliere il significato della storia e raccontare i fatti in modo meno impersonale e distaccato restando ancorati all’idea di rispetto dell’essere umano”.

 

#onlife

“Solo chi sa farsi mangrovia può vivere, crescere e prosperare nell’età ibrida. Perché bisognerà stare nelle intersezioni, laddove i fiumi incrociano i mari, in acque dolci e salate insieme, in un habitat di convivenze che sembrano contrapporsi e che invece sono linfa vitale”: la prima stagione de L’Età Ibrida si è chiusa con una lectio di Luciano Floridi, filosofo e professore ordinario all’Università di Oxford.

Nel 2013, fu lui a coniare il termine onlife, questo vocabolo ibrido che racchiude dentro di sé il riconoscimento di un’esistenza nuova, una vita che va al di là della classica dicotomia fisico / digitale. Un po’ come accade alle mangrovie, anche noi esseri umani stiamo vivendo in un habitat di frontiera, dentro una zona di transizione di cui ancora non sappiamo mappare i confini.

 

#Secondo Tempo

“Siamo in un’aula deserta, costretti a proteggerci, ma non abbiamo ragione di sentirci soli”, così il Rettore Franco Anelli ha salutato i primi cent’anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La cerimonia ibrida a cui hanno assistito tutti gli studenti è una metafora perfetta dei nostri tempi. L’Aula Magna era collegata in remoto con le altre quattro sedi dell’Ateneo, ognuna presidiata da una piccola delegazione di docenti e alunni, in un evento trasmesso in streaming per tutti.

Questa nuova pagina, la Cattolica l’ha chiamata Secondo Tempo, come a dire che cent’anni sono passati ma i più importanti devono ancora arrivare. Anni nei quali l’educazione rivestirà un ruolo sempre più centrale nella vita di tutti, diventando una sorta di anello di congiunzione tra le persone e il progresso della società intera.

 

#open

Quando la pandemia è scoppiata in Italia, Domenico Romano lavorava come Direttore marketing in AW LAB, uno dei principali retailer di abbigliamento sportivo di tutta Europa. Allora non c’erano molte alternative: bisognava fermarsi, bisognava chiudere.

Eppure proprio in quei mesi più bui, quando il pianeta sembrava trincerarsi contro un nemico invisibile, Romano si immagina un mondo del retail nuovo. Finalmente più aperto, in ascolto dei propri clienti, ibrido. È così che è nato il suo libro, Open Retail, un saggio epistolare scritto insieme al libraio Luca Moretti. Tra quelle pagine si ripensa il senso stesso dello stare aperti. Perché open non vuol dire soltanto alzare la serranda, ma soprattutto rimanere attenti ai cambiamenti, lavorare sulle proprie barriere cognitive e non smettere mai di imparare.

 

#ripartenza

L’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo. Ma è anche un “canarino in miniera”, come scrive Luciano Floridi, “quella tendenza che influenzerà altre tendenze”. E se è vero che la pandemia ha accelerato un cambiamento già in atto, è importante analizzare la trasformazione a prescindere dall’emergenza sanitaria, identificandone le radici e i modelli di business che hanno portato alla costruzione di una filiera malata. E ormai insostenibile.

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Stigliano, nuovo CEO di Spring Studios, ex CEO di Wunderman Thompson Italy ed Executive Director Europe dell’agenzia AKQA. Nel suo ultimo libro, Onlife fashion: 10 regole per un mondo senza regole, un saggio scritto a sei mani con il guru del marketing Philip Kotler e con Riccardo Pozzoli, Stigliano ripercorre i cambiamenti che hanno investito il mondo della moda negli ultimi anni e che l’hanno spinta a reinventarsi, a definire nuovi linguaggi, a ridare valore all’umanità ridisegnando un’economia intera.

 

#startup

Secondo uno studio di Ipsos sull’impatto economico della pandemia, il digitale è stato un elemento chiave per superare la crisi. Le giovani imprese hanno resistito mettendo in campo una forza nata tra le file degli strumenti digitali. Mentre le aziende tradizionali hanno puntato sulla loro capacità di ascoltare punti di vista diversi, anche all’interno di un business non proprio rivoluzionario.

Per capire come funziona questo nuovo modo di fare mercato abbiamo intervistato Alessia Camera, esperta in growth marketing e autrice di Startup marketing: Strategie di growth hacking per sviluppare il vostro business. Secondo Camera, quello che ci può insegnare una startup è un nuovo modello di business. Un modo di fare mercato fondato non tanto sul prodotto quanto sui bisogni delle persone. In un certo senso le aziende tradizionali fanno il percorso inverso, una volta definito il prodotto cercano il pubblico più adatto a utilizzarlo. Ma  questo processo spesso si porta dietro parecchia inerzia e persino una certa rigidità nel cambiare le cose. Focalizzandosi sul prodotto è molto più difficile innovare, soprattutto quando l’ecosistema attorno a noi si trasforma. In quel caso saremo costretti a rincorrere il cambiamento invece che anticiparlo.

 

#social(i)

Sui social si parla sempre più di vino (solo nell’ultimo anno si è registrato un aumento del 56% di contenuti). E tante aziende si sono digitalizzate, sperando di recuperare un contatto diretto con i propri clienti. L’assenza di una vera e propria strategia di comunicazione, tuttavia, ha reso questi nuovi profili social una sorta di brochure online, la traduzione nel mondo digitale di quel che potrebbe essere la vetrina di un negozio. Ma una piattaforma social è molto di più: è l’inizio di una conversazione, è la curiosità di conoscere l’altro, è la pazienza di capire i propri punti deboli e la forza nel provare a migliorarli.

A raccontarci come il vino ci può aiutare nella nostra comunicazione, Barbara Sgarzi. Giornalista ed esperta di digitale, nel suo libro Social Media Wine: Strategie, strumenti e best practice per comunicare il vino online riesce a unire a filo doppio la comunicazione e l’enogastronomia.

 

#impatto

Impatto è la parola del prossimo incontro: ce ne parlerà Andrea Fagnoni di Ipsos il 15 dicembre, sempre alle 18. Cercheremo di capire come stare sul mercato nei prossimi anni, come riuscire a dominare le nuove tensioni che regolano il nostro mondo. Ipsos, proprio insieme a Iabichino, ha fondato l’Osservatorio Civic Brand, un progetto editoriale che mira a raccontare l’impegno sociale delle aziende in Italia. “Abbiamo bisogno di brand civici”, dice Iabichino. “Brand che stiano sul mercato per occuparsi anche degli altri, un po’ come facevano gli imprenditori un tempo, dentro pratiche che — chissà perché — oggi abbiamo perso di vista”.