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L'Età Ibrida

L’Età Ibrida | Secondo Tempo – intervista a Franco Anelli

Il 13 aprile scorso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha festeggiato i suoi primi cent’anni con una cerimonia ibrida, metafora perfetta dei nostri tempi.

L’Aula Magna era collegata in remoto con le altre quattro sedi dell’Ateneo, ognuna presidiata da una piccola delegazione di docenti e alunni, in un evento trasmesso in streaming per tutti. “Siamo in un’aula deserta, costretti a proteggerci, ma non abbiamo ragione di sentirci soli”, ha detto il Rettore Franco Anelli durante il suo discorso inaugurale. E noi dell’Età Ibrida lo sappiamo bene il perché. Nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia, nel digitale abbiamo trovato un valido alleato per una nuova socialità, una che si possa esprimere anche a distanza, anche attraverso uno schermo, anche solo con un click.

Gli spazi vuoti dell’Aula Magna si sono riempiti di un affetto e di una partecipazione straordinaria da parte dei 30 mila alunni dell’Ateneo, oltre che di una commozione generale, palpabile anche nel discorso che il Presidente Mattarella ha tenuto alla fine della cerimonia. Insomma, «Si – può – fare!» come direbbe il dottor Frederick von Frankenstein. Si può fare davvero.

Per questo abbiamo chiesto al Magnifico Rettore di scrivere con noi l’incipit di questa nuova edizione dell’Età Ibrida, per indicarci come affrontare questo tempo nuovo, ancora tutto da definire. Una pagina di storia che la Cattolica ha chiamato Secondo Tempo, come a dire che cent’anni sono passati ma i più importanti sono quelli che stanno per arrivare. Anni nei quali l’educazione rivestirà un ruolo sempre più centrale nella vita di tutti, diventando una sorta di anello di congiunzione tra le persone e il progresso della società intera.

Come? Definendo un nuovo modo di stare al mondo.

 

Un nuovo modo di stare al mondo

“Ormai da molto tempo ci siamo addestrati a una comunicazione digitale in grado di veicolare anche sensazioni e messaggi paraverbali”, dice Anelli. È vero: all’inizio della pandemia anche solo una riunione su Zoom sembrava un ostacolo insormontabile, un incontro freddo e asettico che pareva la brutta copia della vita vera.

Tutto sommato ci siamo abituati in fretta.

Possiamo dire che qualcosa è addirittura migliorato?

Abbiamo imparato a interpretare gli sguardi e le pause anche in remoto, a gestire un’aula virtuale piena di sagome invece che di persone perché abbiamo capito che dietro ogni sagoma c’è una persona.

L’assenza del soggetto si è riempita di un’abbondanza di comunicazioni, che per certi versi rappresenta un nuovo modo di stare al mondo. Così abbiamo affinato i nostri sensi e ora stiamo più attenti alle espressioni dei nostri interlocutori, gestiamo discussioni più ordinate e ci siamo trasformati nei nostri avatar. Certo, insegnare dalla propria cucina collegati alla rete non sarà proprio la stessa cosa che parlare davanti a un’aula piena di gente, ma l’importante è trovare una formula che funzioni.

Durante questi mesi difficili, abbiamo sentito in tanti una sorta di ansia di comunicazione, una voglia di tirar fuori la propria voce per sopperire alle distanze che sembravano allungarsi. E il digitale è stato fondamentale per sentirsi più vicini.

Alla Cattolica il “calore” delle aule piene è stato sostituito da un interesse condiviso sulle iniziative dall’Ateneo, vissute in un modo diverso ma non per questo meno intenso. “Non ci siamo mai sentiti soli”, dice Anelli.

Forse possiamo trovare un punto di incontro tra il mondo per come lo conoscevamo prima e quello di oggi. Un mondo che ci possa accogliere con le nostre istanze sempre diverse adattandosi in fretta, trasformandosi completamente, rinascendo ibrido.

 

Un nuovo modo di fare mercato

Il momento della ripartenza sembra essere il più delicato, perché è quello in cui dobbiamo cercare nuove soluzioni, nuovi paradigmi ai vecchi problemi del mondo. Non possiamo pensare di tornare davvero alla “normalità”, perché ormai l’abbiamo capito: nella vita che facevamo prima non c’era nulla di normale.

“Credo che ci si renda conto che alcuni aspetti vadano rivisti e che una certa stagione dell’industria e delle relazioni economiche sia ormai da ripensare”, dice Anelli. Come? Innanzitutto con uno sguardo attento all’innovazione e alla ricerca, da sempre motori del cambiamento. E poi abbracciando le cause che ci stanno davvero a cuore, senza rincorrere le tendenze del momento, ma lavorando sui temi che ci appartengono con cura e dedizione.

Oggi siamo costretti a ripensare la nostra impresa ma anche a ripensarci, perché il digitale sta cambiando le cose fin nel profondo. Non possiamo più fare i conti con il modello novecentesco del mondo, con le grandi produzioni di massa e le pesanti strutture produttive ad alto tasso di occupazione (e anche di inquinamento). Oggi stiamo andando incontro a una rivoluzione che sta ridisegnando in fretta tutti gli scenari produttivi, definendo un cambio radicale nei beni e nei valori.

Un esempio su tutti: i dati.

“Non è facile spiegare che il dato è un bene che puoi vendere”, dice Anelli. In effetti, sembra che ancora non l’abbiamo capito fino in fondo. Se ci pensate, soltanto in una manciata di anni si sono creati nuovi mestieri e persino nuovi modi di lavorare. In un certo senso ci siamo trasformati anche noi stessi, perché si è trasformato il modo in cui pensiamo alle relazioni e alla socialità, a quel che ci rende davvero umani. Nei prossimi anni le cose cambieranno ancora più rapidamente e sta a noi rimanere al passo.

La rivoluzione ormai è iniziata, come finirà è una decisione che dobbiamo prendere adesso.

Ci stiamo spostando da un modello che conosciamo a un altro che ancora non abbiamo definito del tutto. Un modello che non avrà al centro soltanto il capitale ma anche un certo tipo di conoscenza, un certo tipo di cultura, la cultura digitale. Ed è da lì che dobbiamo ripartire, da una mentalità diversa, da conoscenze sempre aggiornate, da paradigmi economici ancora da scrivere.

 

Un nuovo modo di fare la storia

Scrivere di storia non è mai stato semplice.

Dell’antichità sono rimaste voci soltanto parziali, spesso mutilate e alterate da una sorta di telefono senza fili durato millenni. Eppure anche l’epoca moderna non è del tutto chiara: nonostante ci siano arrivate molte testimonianze della vita dei più potenti, ben poco è rimasto delle vicende della gente comune, degli umori e dei problemi nella vita di tutti i giorni.

Oggi, invece, la storia la scriviamo tutti. Letteralmente.

Come mai era successo in passato, abbiamo la possibilità di pubblicare la nostra verità senza filtri e senza censure. Attraverso social media e blog, ma anche attraverso chat e sistemi di comunicazione privata, stiamo scrivendo una sorta di diario collettivo, di cui però è impossibile tenere traccia. “C’è un problema di ridondanza, di accessibilità, di rumorosità del sistema che lo rende ingestibile”, dice Anelli. E poi continua: “Ci sono due modi per non dire una cosa: tacere o affogarla in un mare di chiacchiere”.

Scrivere vuol dire lasciare una testimonianza, un segno del proprio pensiero. Ma perché la scrittura abbia valore deve nascere da un senso di responsabilità, dalla verifica e dalla selezione continua dei contenuti. Certo, comunicare tutto quel che vogliamo (quando vogliamo) può essere un sintomo di libertà, ma a sua volta riesce a creare problemi di legittimazione e di attendibilità proprio a causa dell’assenza di filtri.

Da ascoltatori siamo diventati emittenti dentro luoghi di comunicazione virtuali che non esistevano fino a pochi anni fa. Ancora non sappiamo come gestirlo. “Riuscire a operare in questi contesti richiede un tasso superiore di conoscenze, soprattutto di conoscenze duttili”, dice Anelli. Non basta imparare, occorre continuare a imparare. Le nozioni che apprendiamo oggi, probabilmente domani saranno già superate. Per questo dobbiamo soprattutto imparare a imparare. È questa, da sempre, la grande forza del sistema formativo italiano: insegnare un metodo di apprendimento con il quale approfondire autonomamente qualsiasi argomento.

Non c’è altro modo per cacciarsi fuori da questa crisi in cui siamo finiti.

Ripartire dalla scuola.

 

Trovate l’intervista integrale di Marisandra Lizzi al Rettore Franco Anelli a questo link.

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