Ad
L'Età Ibrida

OPEN: Il futuro del retail è aperto

Quando ero piccolo i miei avevano un bar.

Era un bel locale, ampio e luminoso, con tante vetrine. Ci passava sempre molta gente, perché era all’angolo di una piazza trafficata, proprio sulla circonvallazione di Milano. Io bazzicavo lì tutto il pomeriggio, dopo la scuola. Mi divertiva stare con i clienti e prendere ordinazioni come se fossi già un ragazzo grande. Insomma, non sto troppo a menarvela, quella è stata una grande scuola.

Perché il bar è un luogo particolarissimo, un vero e proprio modo di intendere la vita. In Italia possiamo dire che ormai sia quasi un simbolo: non è soltanto un negozio né un punto di incontro. È un luogo collettivo. In qualche modo, è fatto da tutte le persone che quel bar lo frequentano e non solo da chi lo gestisce. È una sorta di esperienza comune, nel senso che siamo tutti parte di quell’esperienza. Ma è anche un luogo dove riconoscere la propria identità, perché ogni individuo vive quel posto in maniera diversa.

Su internet capita più o meno la stessa cosa. Se ci pensate, la rete è scritta da tutti gli utenti, letteralmente. La grande rivoluzione del digitale sta proprio in questo: nello spostare il punto di vista, nell’ascoltare tante voci, anzi proprio tutte le voci del mondo, perché chiunque abbia qualcosa da dire trova su internet il suo spazio. Uno spazio virtuale che così diventa memoria collettiva.

Finalmente siamo tutti collegati: eccolo lì il mondo globalizzato.

Ma che fine fanno i negozi al dettaglio in tutto questo?

Gli orizzonti sono cambiati, ormai lo sappiamo. Durante la pandemia abbiamo assistito a una crescita vertiginosa delle vendite online, ma soprattutto siamo cambiati noi, perché abbiamo cambiato il modo in cui vediamo ogni nostro acquisto. Non possiamo dare tutta la colpa al Covid_19, però. La crisi del retail ha radici molto profonde, molto più vecchie della pandemia e che vanno indietro di almeno dieci anni. Perché il digitale sta lentamente soppiantando un certo modo di fare shopping, sta cancellando un tipo di esperienza di acquisto che va ben al di là del “comprare qualcosa perché ne ho bisogno”. Sfogliare le pagine di un libro, chiedere consigli a un commesso per sapere quale sia il vino più delicato, uscire da un negozio sapendo che i pantaloni che hai appena comprato ti stanno davvero bene perché li hai provati e li hai confrontati con altre cinque paia.

Oggi invece le distopie del mondo retail ci raccontano uno spazio vuoto, senza commessi, regolato soltanto da intelligenze artificiali che ci spiano, ci contano e imparano a conoscerci. Non trovate che manchi qualcosa? Difficile puntare il dito su un elemento in particolare, forse la chiamerei semplicemente l’empatia. Ritrovare quella rete di relazioni, di emozioni, di scambio proficuo che si crea durante l’acquisto, tornare a un mondo in cui comprare non è più un bisogno compulsivo, ma una necessità, un’esperienza umana.

Un po’ come il bar sotto casa.

Se ci pensate il bar è l’unica cosa che su internet proprio non si può replicare. Un luogo di ritrovo in cui sentirsi a casa, un posto in cui non devi andare ma in cui vuoi andare. E non tanto per quel che consumerai, ma per un certo tipo di esperienza, di vita in comune, di sensazioni e di emozioni.

Forse possiamo lasciarci ispirare da questo nostro simbolo nazionale per ricostruire una parte di mondo che con la pandemia si è visto sempre più minacciato, un mercato che deve affrontare nuove sfide e ridefinirsi, ripensando un paradigma che sia valido e sostenibile anche nel futuro.

Giovedì 15 luglio alle 18.00 ne parliamo insieme a Domenico Romano, Chief Executive Officer di Fandango Club, che proprio durante la pandemia ha scritto “Open Retail”: un saggio epistolare realizzato insieme a chi il negozio al dettaglio lo vive ogni giorno sulla propria pelle: il libraio Luca Moretti. Se volete seguire il secondo appuntamento dell’Età Ibrida insieme a noi, potete registrarvi gratuitamente a questo link oppure venire a trovarci a Palazzo Giureconsulti per il primo evento live dopo davvero tantissimo tempo (sì, siamo parecchio emozionati).

Ci vediamo lì, il caffè ovviamente ve lo offriamo noi.

Paolo Iabichino

Condividi!

Scrivi un commento