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L'Età Ibrida

L’impatto | Ovvero come guardare al passato per capire dove stiamo andando

Il 31 dicembre del 1983 il Toronto Star pubblica un’intervista allo scrittore Isaac Asimov, una lunga conversazione in cui si parla di futuro. La questione era molto più specifica di così, in effetti. I giornalisti del quotidiano si interrogarono su quel che sarebbe successo al mondo nel 2019, ovvero a trentacinque anni di distanza. Una scelta per niente casuale. Si era alle porte di un anno importantissimo per la fantascienza, un anno raccontato nell’incubo distopico di George Orwell e scritto – guarda un po’ – proprio trentacinque anni prima.

Insomma, in questo pezzo Asimov riuscì a prevedere tante delle dinamiche che avrebbero caratterizzato la nostra società di oggi, concentrandosi soprattutto su due temi: la digitalizzazione e la conquista dello spazio. Immaginò la comparsa di un “oggetto computerizzato mobile” che sarebbe “entrato nelle case di tutti” e che avrebbe reso impossibile la vita umana in assenza di tecnologia. (Ok, magari la patina catastrofista è un po’ esagerata, ma la scena suona abbastanza familiare).

Ma soprattutto riuscì a prevedere come sarebbe cambiato il mondo del lavoro: un ambiente sempre più modellato sulla tecnologia, non soltanto grazie all’imposizione di nuove dinamiche ma anche a causa delle nuove professioni che la digitalizzazione avrebbe portato con sé. “La robotica ucciderà i lavori d’ufficio e le catene di montaggio”, disse lo scrittore. “La struttura stessa dell’educazione dovrà cambiare: popolazioni intere saranno alfabetizzate sui termini del linguaggio informatico e dovranno imparare a gestire un mondo sempre più high-tech”.

La fantascienza è uno dei prodotti culturali più interessanti quando si parla di futuro. Non tanto per quel che ci fa vedere o per gli strumenti tecnologici che mette in scena, quanto per la riflessione che ne fa.

Il punto non è capire se avremo davvero bisogno di un cacciatore di taglie per replicanti come accade in Blade Runner, quanto piuttosto quali possano essere i limiti di un’intelligenza artificiale, se davvero si possa ricostruire il modo di pensare di un essere umano e – molto più importante – cos’è quella cosa che ci rende davvero unici, quella abilità che nessuna macchina al mondo potrebbe mai imparare a fare.

Perché poi di questo si tratta, di tracciare delle mappe.

E non è un caso se la fantascienza sia passata da utopie a distopie proprio a cavallo della seconda rivoluzione industriale. Secondo Layla Martínez il motivo è da legare ai mezzi di produzione capitalista. “Se possiamo immaginare un futuro peggiore, il presente ci sembrerà più accettabile e non lotteremo per cambiare le cose”. Ma io credo che il passaggio sia da imputare anche a una sorta di ansia collettiva, a una paura che si esorcizza proprio nel racconto distopico. L’unico modo per prepararci alle sfide imposte dalle nuove possibilità tecnologiche è studiando l’umano, cercando di andare a fondo nella comprensione di quel che ci rende davvero un beautiful glitch. Che sia attraverso un mostro rattoppato – come nel triste caso del dottor Frankenstein – o nell’occhio inquisitore del Big Brother, poco importa.

Anzi, la rivoluzione digitale sta cambiando così rapidamente la nostra società, che la fantascienza non sta più al passo. A parte qualche macchina volante di troppo, sempre più spesso i romanzi distopici raccontano un mondo che assomiglia al presente più che al futuro. Ma in fondo non c’è altro modo. Per capire come evolverà la nostra società dobbiamo partire da quel che siamo oggi e dai fossili di quel che siamo stati.

Un po’ come facciamo noi a L’Età Ibrida.

Da oggi, poi, c’è una splendida novità! Il 22 novembre alle 17.30 si inaugura un nuovo spazio, che è anche un laboratorio di idee e innovazione offerto dalla Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi. Si chiamerà il Salone del Futuro.

Per ora non vi anticipiamo altro, ma se volete essere dei nostri, potete seguire l’evento a questo link, nella solita modalità ibrida.

Non fatevi pregare: scriviamolo insieme, questo futuro.

 

Paolo Iabichino

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